INVALIDI, PENSIONE MAI SOTTO I 603,00 EURO.

Con la sentenza n. 94 del 2025, depositata il 9 luglio, la Corte Costituzionale ha introdotto una svolta significativa nella tutela previdenziale delle persone con disabilità.
È stata, infatti, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 16, della legge n. 335 dell’8 agosto 1995, nella parte in cui esclude l’integrazione al minimo per l’assegno ordinario di invalidità erogato con il sistema contributivo.
Fino ad oggi, solo i titolari di assegni liquidati con il sistema retributivo o con quello misto beneficiavano di tale integrazione, fissata per il 2025 a 603 euro mensili. I lavoratori che hanno iniziato a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996 — soggetti quindi al sistema contributivo puro — ricevevano un assegno calcolato esclusivamente sulla base dei contributi versati, senza alcuna possibilità di raggiungere il livello minimo.
La Corte Costituzionale ha ritenuto questa esclusione in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, rilevando che anche chi si trova pienamente nel sistema contributivo deve poter contare su una prestazione di importo minimo, pari almeno a quello dell’assegno sociale (538,69 euro, poi aggiornato a 603 euro nel 2025), da garantire attraverso la fiscalità generale.
Il principio di uguaglianza, secondo i giudici, impone che non vi siano discriminazioni tra lavoratori in condizioni simili di bisogno, anche se collocati in regimi previdenziali diversi. L’assegno ordinario di invalidità, previsto dalla legge n. 222 del 1984, si fonda su requisiti agevolati — come la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo e almeno cinque anni di contributi (di cui tre nell’ultimo quinquennio) — e assolve alla funzione di sostenere persone che, a causa di un’invalidità parziale, non sono più in grado di lavorare pienamente né di accumulare un montante contributivo adeguato.
La Corte ha sottolineato come tale prestazione possa essere l’unico sostegno economico disponibile in molte situazioni. Il beneficiario, infatti, potrebbe non avere diritto all’assegno di invalidità civile, né accedere ad altri strumenti di welfare come l’assegno unico o quello di inclusione. In taluni casi, le sue condizioni non gli permetterebbero di trovare un’altra occupazione, pur in presenza delle misure previste dalla legge n. 68/1999 per il diritto al lavoro dei disabili.
Con questa decisione, viene quindi stabilito che l’importo dell’assegno di invalidità non potrà più essere inferiore a 603 euro mensili, anche per i giovani lavoratori entrati nel mondo del lavoro dopo il 1996.
Tuttavia, la sentenza non ha effetti retroattivi: ciò significa che l’eventuale aumento dell’importo si applicherà solo ai futuri assegni, senza generare arretrati.
Nel corso dell’udienza, difatti, l’INPS ha evidenziato che una decisione con effetti retroattivi avrebbe comportato un impatto finanziario notevole a carico dello Stato, a causa del recupero degli arretrati dovuti agli assegni già liquidati nel sistema contributivo.
Grazie a questa novità, pertanto, l’integrazione al minimo si applica esclusivamente agli assegni di invalidità, nella misura in cui risultano inferiori all’importo minimo previsto per l’anno di riferimento.