Senza categoria

DUE NOMI IN PIÙ

SARA E ILARIA, VITTIME DI UNA CULTURA CHE ANCORA NEGA LA LIBERTÀ DELLE DONNE.

3 aprile 2025 • 18:52

Sara Campanella e Ilaria Sula.

Due donne che non potranno più scrivere la propria storia perché qualcuno ha deciso che non ne avevano il diritto.

Due vite spezzate da uomini che non accettavano un “no”.

Sara Campanella aveva 22 anni. Studiava all’università, amava la scienza.

Stefano Argentino ha deciso che dovesse essere sua, di sua proprietà, poco importava lei cosa volesse.

“Mi amo troppo per stare con chiunque” una frase pubblicata sui social, forse un allarme, ma una lancia per qualcuno.

Come se vivere, scegliere, amare, dovesse dipende da qualcun altro.

Perché qualcuno si sente autorizzato a esercitare potere sulla vita di un’altra persona?

Si prova a scavare nella storia di ogni vittima, alla ricerca di segnali che possano “giustificare” i motivi per cui l’assassino abbia agito in quel modo come se, in qualche modo, potesse aver sbagliato lei, potesse aver detto parole fuori posto, o avesse voluto amarsi, vivere la propria vita.

Neanche 24 ore dopo, il corpo di Ilaria Sula è stato trovato chiuso in una valigia, gettato tra i rifiuti.

A ucciderla, il suo ex ragazzo, Mark Samson, “incapace di accettare la fine della relazione”.

«Non aveva denunciato», si scrive di Sara.

Perché non ha denunciato? Perché Sara non si è fidata delle istituzioni?

Troppo spesso la violenza viene scambiata per comuni problemi amorosi, parentesi quotidiane di ogni relazione.

Perché non si riesce a reagire? A ribellarsi?

Perché non si riesce a intervenire prima che sia troppo tardi?

A ridosso dell’8 marzo, il Governo ha approvato un disegno legge per l’introduzione del reato autonomo di femminicidio nel Codice penale, l’art. 577-bis c.p., con cui si vuole punire con l’ergastolo chiunque uccida una donna per odio di genere o per reprimerne la libertà.

Secondo Eugenia Roccella, Ministra per le Pari opportunità, il riconoscimento di un reato autonomo può aiutare a cambiare la cultura. Per il ministro Carlo Nordio, non può essere l’unica risposta, bisogna fare altro.

Ma cosa?

Bisognerebbe trovare il coraggio di dire NO, reagire ai primi allarmi, non aspettare che la situazione degeneri.

Dovremmo partire con l’educare i bambini alla cultura della denuncia, a non avere paura, a ribellarsi alle dinamiche sociali, tossiche e opporsi ad ogni forma di violenza fisica e psicologica; solo così potremmo ottenere qualche minimo miglioramento nel piccolo e magari anche nel grande.