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Il body shaming è reato?

Fare body shaming è reato. La Cassazione, dichiarando che il body shaming è ufficialmente riconosciuto come reato, ha contribuito a rendere più via la lotta contro la discriminazione, contro il bullismo ed il cyber bullismo, basati sull’aspetto fisico o sulle preferenze sessuali che troppo spesso hanno trovato terreno fertile sui social media e nelle interazioni quotidiane.

Già con sentenza n. 2251/ 2022 la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato che il body shaming, quando fatto con l’intenzione di danneggiare, denigrare ed emarginare la vittima integra il reato di diffamazione. Ma la ratio di tale sentenza è quella di porre fine a forme di umiliazioni che possono concretarsi in ripercussioni importanti sulla salute mentale e sull’autostima delle persone. 

Denigrare o ridicolizzare il corpo altrui, può integrare il reato di diffamazione aggravata se avviene su internet, per il cui reato è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore ad Euro 516,00.

Successivamente, più di recente, la Cassazione con sentenza n. 2251 dl 2023 ha stabilito che:  “Il discrimine tra diffamazione e ingiuria in caso di offese espresse per il tramite di piattaforme telematiche,  soltanto il requisito della contestualità tra comunicazione dell’offesa e recepimento della stessa da parte dell’offeso vale a configurare l’ipotesi dell’ingiuria […] in difetto del requisito della contestualità, che va di volta in volta verificato, in relazione alle specificità dei singoli casi, l’offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore configurandosi quindi diffamazione”.

Dunque, chiunque umili una persona per talune caratteristiche fisiche, comunicando con più persone, commette il reato di diffamazione.

Anche un insulto con un emoji può portare all’accusa di diffamazione aggravata, ciò non vuol dire di smettere di usare le emoji per accompagnare i propri stati d’animo, ma ricordarsi che il contesto ed il tipo di relazione personale che abbiamo con la persona cui stiamo lasciando un commento, valgono anche nei social. 

Questa sentenza della Cassazione è decisamente innovativa, in quanto interpreta il concetto dello stalking applicandolo ai social network, considerando la vittima assente perché non era online al momento della pubblicazione del post. Per cui, occorre evidenziare che il body shaming può trasformarsi anche in un altro reato: quello di stalking. Questo si verifica nel momento in cui le frasi denigratorie diventano costanti nel tempo, cosa che renderà la vittima costantemente in uno stato d’animo di agitazione molto forte o sarà costretta a modificare le proprie abitudini per evitare che la persona che la sta insultando. In realtà, questo fenomeno “il body shaming” non è nato in questi anni, ma esiste da sempre, poiché si tratta di un pregiudizio antico quanto l’uomo.

Questo atto deplorevole ad oggi è più diffuso ed è una delle conseguenze più negative di un’epoca come la nostra, in cui l’aspetto esteriore e la fisicità è predominante e protagonista della maggior parte dei contenuti visivi che ci vengono proposti ogni giorno. 

A cura dell’Avv. Guerino Gazzella

Ariano Irpino, lì 22.02.2024