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L’errore medico non è sempre rilevante per il risarcimento dei danni

La Corte d’Appello di Roma con sentenza del 13 Giugno 2023 n. 4241, adita in tema di risarcimento dei danni asseritamente riportati da un paziente per errore medico, consente di poter effettuare una molteplicità di riflessioni sul sistema probatorio che caratterizza tale fattispecie. In primis si evince che in caso di prestazione professionale medica resa in una struttura ospedaliera, resta a carico del debitore (medico o struttura sanitaria) l’onere di dimostrare che la medesima prestazione sia stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento sia dovuto a causa a sé non imputabile, poiché determinato da un evento imprevedibile, neanche con una dovuta diligenza che avrebbe dovuto avere un professionista in base alle proprie conoscenze tecnico-scientifiche.

Per tali obbligazioni cd. di comportamento, non ogni inadempimento è rilevante nell’ambito dell’azione di responsabilità per il risarcimento del danno, ma soltanto quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno.

Pertanto, in situazioni in cui sussiste una responsabilità medica, il paziente non può limitarsi ad allegare un inadempimento, qualunque esso sia, ma deve obbligatoriamente dedurre l’esistenza di un’inadempienza astrattamente efficiente alla produzione del danno, evidenziando il nesso di causalità fra inadempimento/o errato adempimento della prestazione posta in essere dal professionista e l’aggravamento della patologia, con la specifica allegazione di qualificate inadempienze, idonee a costituire causa o concausa del danno arrecato.

Pertanto, è onere del convenuto, ovvero del professionista, dimostrare che le sue azioni non siano riconducibili alla produzione del danno ed indicare anche quale sia stata la vera causa, seppur imprevedibile ed imprevista, non superabile con l’adeguata diligenza qualificata, che ha effettivamente determinato il danno.

Dunque, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica è onere dell’attore paziente-danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico ed il danno arrecato per cui si richiede il risarcimento, attraverso qualsiasi mezzo utile ad evidenziare una responsabilità del sanitario. Nel caso in cui, nessun mezzo istruttorio risulti idoneo ad evidenziare una responsabilità medica la domanda va rigettata.

Nel caso in cui il paziente provi il nesso di causalità fra il danno e il comportamento negligente del medico, quest’ultimo avrà l’onere di provare che l’inadempimento non sussista o che sia stato determinato da causa a lui non imputabile.

L’art. 2236 c.c. è generalmente considerato applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale, inquadramento della responsabilità del medico che come noto oggi costituisce la “regola” in virtù dell’art. 7, comma 3 della Legge Gelli- Bianco (l. n. 24/2017). 

Ad oggi si ritiene anche superata, sotto il profilo della ripartizione degli oneri probatori, ogni distinzione fra interventi “facili“ e difficili”, in quanto l’allocazione del rischio non può essere rimessa alla maggiore o minore difficoltà della prestazione e pertanto, l’art. 2236 c.c. deve essere inteso come contemplante una regola di mera valutazione della condotta diligente del debitore.

La Cass. civ. sez. Unite con sentenza n. 577/2008 ha stabilito che in ogni caso di “insuccesso” il medico avrà l’onere di dare la prova della particolare difficoltà della prestazione ed anche di provare che il risultato “anomalo”, o anormale, dipenda da fatto a sé non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità della diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto.

11/07/2023

A cura dell’Avv. Guerino Gazzella e della Dott.ssa Isabella Urciuoli