Con sentenza del 04 febbraio 2020 n. 2523, la Corte di Cassazione ha confermato il principio consolidato secondo il quale, nel caso di patologia professionale tabellata, il nesso di causalità tra questa e l’attività prestata dal lavoratore è presunto. Nella sentenza in questione, la Suprema Corte ha sottolineato che la presunzione in questione non è assoluta, ben potendo l’INAIL fornire la prova contraria circa la diversa eziologia dell’evento morboso.
Ma cosa si intende per malattia professionale tabellata?
In primo luogo, è opportuno chiarire che si definisce malattia professionale (DPR n. 1124 del 30 giugno 1965 Testo Unico sull’Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali), quella patologia contratta nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni per le quali sussiste il rischio lavorativo. Quest’ultimo può essere legato tanto al tipo di attività prestata dal lavoratore (si pensi ad esempio ai disturbi muscolo-scheletrici connessi a determinate lavorazioni) quanto all’ambiente lavorativo (si pensi alle patologie collegate all’esposizione ad agenti biologici).
Le malattie professionali si definiscono tabellate se figurano nelle tabelle allegate al DPR citato, se sono state causate da lavorazioni elencate nelle medesime tabelle e se sono denunciate entro il periodo massimo di indennizzabilità eventualmente previsto.
La differenza tra i due tipi di patologia rileva in relazione alla prova del nesso di causalità tra la stessa e l’attività lavorativa prestata. Nel caso di inclusione nelle tabelle sia della malattia che della lavorazione, al lavoratore sarà sufficiente dimostrare in giudizio di aver svolto l’attività professionale in questione e di essere affetto dalla relativa patologia per far presumere la sussistenza del nesso causale.
Il fondamento della descritta presunzione va ravvisato nel fatto che, rientrando determinate lavorazioni nelle tabelle citate, poiché queste ultime sono state delineate tenendo conto delle acquisizioni della scienza medica, queste vengono ritenute idonee – secondo una ragionevole probabilità logico-scientifica – a provocare la malattia.
Ciò non toglie, come accennato, che l’INAIL potrà sempre fornire la prova contraria, dimostrando che la patologia non sia riconducibile al rischio a cui il lavoratore è stato esposto ma, ad esempio, ad un fattore extra lavorativo.
Valentina De Donato