L’art. 49 comma 2 del codice parla disciplina l’ipotesi di reato impossibile, ovvero del cosiddetto “quasi reato”, quando, per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa è impossibile l’evento dannoso o pericoloso.
La figura del reato impossibile è comparsa per la prima volta nell’ordinamento italiano nel codice penale del 1930. Dottrina e giurisprudenza hanno da sempre analizzato tale istituto in connessione con il delitto tentato. La natura del reato impossibile per inidoneità dell’azione è stata oggetto di vivaci ed articolati dibattiti da parte della dottrina e della giurisprudenza italiana, infatti la dottrina tradizionale aveva costruito la figura del reato impossibile per inidoneità dell’azione quale “doppione” dell’istituto del tentativo: il legislatore avrebbe scelto di anticipare, in forma negativa, quanto poi avrebbe affermato, positivamente, nell’art. 56 c.p.
Nel caso in cui si configuri un’ipotesi di reato impossibile, se la punibilità è esclusa, il giudice può applicare una misura di sicurezza qualora ritenga che il soggetto sia comunque pericoloso.
Ovviamente, i presupposti per applicare una misura di sicurezza sono sempre il fumus boni iuris ed il periculum in mora.
Occorre effettuare una distinzione fra il reato impossibile per l’inesistenza dell’oggetto e il reato impossibile per l’inidoneità dell’azione.
Nel primo caso è impossibile l’evento dannoso o pericoloso, in quanto l’oggetto dell’azione (cioè l’oggetto materiale del reato) è inesistente. Questo si verifica ad esempio quando Caio vuole uccidere Tizio ed entra di notte nella sua casa sparando ad un fantoccio, scambiando questo per la vittima.
Il reato impossibile per l’inidoneità dell’azione si verifica quando il presupposto del reato è impossibile e si ha quando il mezzo usato per compiere un illecito penale non ha la capacità di provocare la produzione dell’evento dannoso o pericoloso, ad esempio quando Tizio intende uccidere Caio con una pistola giocattolo, oppure ad esempio qualora manchi la persona o l’oggetto su cui cade l’attività materiale del reato.
Per comprendere la figura del reato impossibile occorre far riferimento al principio di offensività, poiché ai fini dell’imputabilità della fattispecie di reato è necessaria l’offensività della condotta. Il principio di offensività rappresenta un indicatore della meritevolezza della pena di una determinata condotta, facendo parte dei quattro principi cardini sui quali poggia la nozione di reato: il principio di legalità/tipicità/, il principio di materialità, il principio di colpevolezza e, appunto, il principio di offensività.
Dunque, l’inidoneità dell’azione deve essere assoluta, intrinseca ed organica.
Come si valuta tale inidoneità dell’azione? Secondo l’opinione prevalente tale inidoneità dovrebbe essere valutata con giudizio ex ante, ossia riportandosi al momento iniziale della condotta, ed essere condotta in concreto, cioè prendendo in considerazione non soltanto le circostanze conosciute o conoscibili dall’agente al momento dell’azione, bensì tutte le circostanze presenti nella situazione, quale che sia il momento in cui vengono conosciute.
L’azione inidonea di per sé a integrare la fattispecie di reato e l’insussistenza dell’oggetto materiale avrebbero comunque giustificato l’impunità alla stregua degli stessi principi che regolano la rilevanza penale delitto tentato, in virtù del principio in base al quale non può esservi reato senza lesione o messa in pericolo del bene protetto.
Secondo la giurisprudenza, ad esempio, non si configura un reato impossibile nel caso in cui il bene, oggetto delitto di rapina, abbia un modesto valore patrimoniale, ovvero costituisce tentativo punibile, e non reato impossibile, il comportamento di chi si introduce in una vettura per commettere un furto di cose nella stessa contenute posto che, con valutazione ex ante, nella vettura sono normalmente contenute cose che possono essere oggetto di furto.
L’analogia strutturale con il delitto tentato, disciplinato dall’art. 56 c.p. necessita un’analisi approfondita della terminologia accuratamente scelta dal nostro legislatore, il quale nell’art. 56 c.p. parla di “atti”, mentre nell’art. 49 c.p. fa riferimento all’azione. Dunque, non a caso il legislatore ha utilizzato l’espressione “atti” a proposito del tentativo e “azione” a proposito del delitto impossibile.
Si giunge alla conclusione che: chi compie atti idonei a provare l’evento risponde di delitto tentato, mentre se si pone in essere tutta un’azione inidonea, allora si applica la norma del reato impossibile.
A cura dell’Avv. Guerino Gazzella e della Dott.ssa Isabella Urciuoli.
12/04/2023