30/03/2023
L’istituto dell’estradizione è finalizzato a garantire una collaborazione fra gli stati nella lotta contro la criminalità, mediante la consegna da parte di uno Stato, di un individuo, che si trovi nel suo territorio, ad un altro Stato perché venga da questo sopposto a giudizio penale.
La ratio dell’istituto è l’esigenza di giustizia, garantire che venga fatta giustizia secondo la legge del nostro ordinamento giuridico interno, evitando casi di diniego di giustizia.
Purtroppo è ciò che accade laddove l’estradizione non viene concessa dallo stato estero, ed anche quando tale procedimento richiede lungaggini eccessive.
Ieri la Cassazione francese ha confermato il rifiuto della Francia all’estradizione dei 10 ex brigatisti degli anni di piombo in Italia.
Per i 10, di cui 8 uomini fra i quali Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio Calabresi, e 2 donne (le ex Br Marina Petrella e Roberta Cappelli), il tribunale francese aveva già negato, il 29 giugno dello scorso anno, l’estradizione chiesta dall’Italia.
Un assoluto diniego di giustizia al quale non si può rimanere in silenzio, in particolare data la motivazione della Corte assolutamente inaccettabile e priva di fondamento giuridico.
La presidente della Chambre de l’Istruction aveva motivato il rifiuto con il rispetto della vita privata e familiare e con il diritto ad un equo processo, garanzie previste dagli articoli 8 e 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo. Di segno opposto il pensiero del Presidente della Repubblica francese, Emmanuele Macron, il quale il giorno successivo aveva affermato che: “quelle persone, coinvolte in reati di sangue, meritano di essere giudicate in Italia”. Successivamente, però, Rémy Heitz, in rappresentanza del governo, aveva presentato un ricorso alla Corte di Cassazione ritenendo necessario appurare se gli ex terroristi condannati in Italia in contumacia beneficeranno o meno di un nuovo processo se la Francia li consegnerà. Il procuratore contestava la decisione del tribunale sulla presunta violazione della vita privata e familiare degli imputati e difatti nel dispositivo della sentenza si legge che: “la corte di Cassazione, respinge i ricorsi presentati dal procuratore generale presso la Corte d’Appello di Parigi contro le decisioni della Corte d’Appello, ritenendo che i motivi addotti dai giudici, che discendono dal loro appezzamento sovrano, sono sufficienti”.
La Cassazione conclude affermando che: “il parere sfavorevole sulle richieste sfavorevoli alle richieste di estradizione è, in considerazione di ciò, definitivo”.
Il dettaglio più discutibile ed assolutamente non condivisibile è quando la Cassazione scrive che i “rifugiati in Francia si sono costruiti da anni una situazione famigliare stabile (…) e quindi l’estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto ad una vita privata e familiare”.
La riflessoine che sorge spontanea a tale illogica motivazione è l’assoluto mancato rispetto del principio di proporzionalità della pena, uno dei principi cardine del nostro diritto penale, il quale esige che la pena debba essere proporzionata al fatto commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale e a quella di tutela delle posizioni individuali.
In merito al caso di specie, si pensi al danno sproporzionato che hanno arrecato uccidendo dei mariti e padri di famiglia. Non c’è assolutamente compatibilità con il diritto ad una vita privata e familiare.
Si pensi che queste persone, pur avendo commesso reati di tantà gravità non verranno sottoposti ad un giusto processo penale.
Una decisone assolutamente sconcertante che ha scaturito tanto sgomento, con l’auspicio che la giustizia italiana intervenga per rimediare a tale inammissibile statuizione della Cassazione francese, non mancando riflessioni che ci inducano a comprendere che tale mancata estradizione sia frutto di una questione principalmente politica e dunque trattenere queste persone in Francia sarebbe stata una posizione più politica che giuridica.
A cura dell’Avv. Guerino Gazzella e della Dott.ssa Isabella Urciuoli.