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INTERVENTI DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SUL CALCOLO DEL DANNO DIFFERENZIALE

In tema di danno differenziale numerosi sono stati gli interventi della Magistratura al fine di fornire una interpretazione giurisprudenziale orientata a determinare gli importi dovuti, quindi la misura e la quantificazione del danno. Si definiscedanno differenziale quel danno che viene risarcito al lavoratore in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale (anche quale infortunio in itinere, cioè quel danno che si subisce durante il percorso per andare o tornare dal luogo di lavoro) e che corrisponderebbe alla differenza tra il danno risarcibile in sede civilistica e l’importo già corrisposto dall’Inail. Pertanto si intende per danno differenziale, quel danno che spetta ai lavoratori che dimostrino di aver subito, a causa di un fatto illecito commesso dal datore di lavoro o da un terzo (può essere questo il caso di un lavoratore che sta viaggiando in auto per recarsi a lavoro e subisce un incidente stradale), un danno maggiore rispetto al risarcimento ottenuto dall’INAIL. L’Inail infatti riconosce degli importi per il verificarsi dell’infortunio o della malattia che, però, non sempre ristorano gli effettivi pregiudizi subiti dal lavoratore. Il danneggiato ha dunque la possibilità di ottenere un ulteriore risarcimento dal datore di lavoro o dal terzo (per es. responsabile civile, dalla assicurazione RCA) oltre all’indennizzo dovuto dall’Inail. Ma come quantificare la differenza che spetta al lavoratore? L’argomento è assai vasto e complesso e richiede la verifica delle varie ipotesi, soffermandosi sulle voci di danno da prendere in considerazione. Sul punto la giurisprudenza era intervenuta, in particolare con la ordinanza della Corte di Cassazione, sezione VI -3 Civile, n. 17407 del 11 febbraio – 30 agosto 2016 che prevedeva i seguenti criteri: “quando la vittima di un illecito aquiliano abbia percepito anche l’indennizzo da parte dell’INAIL, per calcolare il danno biologico permanente differenziale è necessario:

(a) determinare il grado di invalidità permanente patito dalla vittima e monetizzarlo, secondo i criteri della responsabilità civile, ivi inclusa la personalizzazione o danno morale che dir si voglia, attesa la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale;

(b) sottrarre dall’importo sub (a) non il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di rendita che ristora il danno biologico (come già ritenuto da questa Corte: Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 26.6.2015)”.

La natura delle due erogazioni è differente poiché l’indennizzo corrisposto dall’INAIL configura una rendita (per le ipotesi di riconoscimento di un danno superiore o pari al 16%) che cessa con la morte dell’infortunato e che non dipende dal fatto illecito, infatti viene erogata anche se manca il soggetto responsabile che non sia il danneggiato. Così come i due istituti non hanno i medesimi fini. La rendita INAIL ha una finalità prettamente sociale poiché intende consentire al soggetto assicurato di continuare ad avere di mezzi di sussistenza adeguati alle esigenze di vita, di contro il risarcimento si basa sulla tutela del diritto alla salute costituzionalmente garantito come diritto all’integrità psicofisica (Tribunale di Roma, Sez. XII, G.U. Dott. R. Romagnoli , Sent. n. 24271 del 09.12.2008).

La Suprema Corte aveva chiarito che “Per quanto riguarda il risarcimento del danno biologico temporaneo, esso in nessun caso potrà essere ridotto per effetto dell’intervento dell’assicuratore sociale, dal momento che l’Inail non indennizza questo tipo di pregiudizio, e se non v’è pagamento non può esservi – per quanto detto – surrogazione…”

“..Per quanto riguarda il risarcimento del danno patrimoniale da riduzione permanente della capacità di guadagno, che l’Inail – per quanto detto – indennizza a prescindere da qualsiasi prova della sua sussistenza, sol che l’invalidità causata dall’infortunio superi il 16%, il relativo indennizzo assicurativo potrà essere detratto dal risarcimento aquiliano solo se la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio di questo tipo. Negli altri casi, l’indennizzo resta acquisito alla vittima, ma né potrà essere defalcato dal credito risarcitorio di quest’ultima per altre voci di danno, né potrà dar luogo a surrogazione: se infatti la vittima non ha patito alcuna riduzione della capacità di guadagno, non vanta il relativo credito verso il responsabile, e se quel diritto non esiste, non può nemmeno trasferirsi all’Inail”…

“..Infine, per quanto riguarda i ratei di rendita già riscossi dalla vittima prima del risarcimento, essi seguiranno sorte diversa a seconda del titolo per il quale sono stati pagati, e quindi:
– i ratei (o la quota pane di essi) già riscossi a titolo di danno biologico permanente, andranno a defalco del credito risarcitorio spettante alla vittima per questa voce di danno;
– i ratei (o la quota parte di essi) già riscossi a titolo di danno patrimoniale da incapacità lavorativa, andranno a defalco del credito risarcitorio spettante alla vittima per questa voce di danno, se esistente ed accertato.”

“…L’Inail persiste nell’errore, di confondere il problema di quanto spetti alla vittima a titolo di risarcimento nei confronti del responsabile, con quello di stabilire quanto spetti all’Inali a titolo di surrogazione nei confronti del responsabile.

Al primo problema dà soluzione la legge, stabilendo che il credito risarcitorio della vittima per danno biologico non può ridursi per effetto dell’intervento dell’assicuratore sociale, salvo che quest’ultimo abbia indennizzato proprio il danno biologico, e nella misura in cui l’abbia indennizzato.

Al secondo problema ha dato soluzione questa Corte, stabilendo che l’Inail per le somme pagate a titolo di danno patrimoniale alla vittima può surrogarsi nei confronti del responsabile nella misura in cui quest’ultimo abbia effettivamente causato un danno patrimoniale, e fino al limite di quest’ultimo”…

Dunque:

 se l’Inail ha pagato alla vittima un indennizzo a titolo di ristoro di danni patrimoniali, l’Istituto avrà diritto di surrogarsi nei confronti del responsabile se e nei limiti in cui un danno patrimoniale sia stato da questi effettivamente causato e il responsabile sarà tenuto sia a risarcire per intero il danno biologico alla vittima, sia a rivalere l’Inail nei limiti del danno patrimoniale effettivamente causato; in questa seconda ipotesi la vittima perderà ovviamente il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, trasferito all’Inali per effetto di surrogazione.” (Cassazione, sezione VI -3 Civile, n. 17407 del 11 febbraio – 30 agosto 2016). Con questo provvedimento la Suprema Corte definisce concrretamente i criteri da seguire per determinare gli importi dovuti al danneggiato.

Più recentemente, nel 2018 la Corte di Cassazione civile, interviene nuovamente sull’argomento, questa volta però a Sezioni Unite, con sentenza 22/05/2018 n. 12566.  La questione controversa e dibattuta che ha richiesto l’intervento dirimente della Corte attiene al fatto che il danneggiato possa trarre un doppio vantaggio economico dallo stesso fatto illecito sulla base di titoli diversi e da due soggetti obbligati sulla base di differenti rapporti, essendoci da una parte l’assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro e dall’altra quello per il fatto illecito del terzo. In sostanza capire se vi è duplicazione del risarcimento e quindi ingiustificato arricchimento del danneggiato per cui bisognerebbe detrarre dal risarcimento l’importo ottenuto a titolo di rendita oppure stabilire se possono cumularsi beneficio e risarcimento.

Decidendo su questo annoso punto la Cassazione statuisce che “l’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’Inail per l’infortunio in itinere occorso al lavoratore, va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato, allo stesso titolo, da parte del terzo responsabile del fatto illecito”.

Ciò detto va precisato che con l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, viene corrisposta dall’ INAIL una rendita che ha natura indennitaria e che in parte certamente copre il risarcimento per il fatto illecito del terzo cui avrebbe diritto il danneggiato e pertanto sussiste il diritto dell’INAIL di subentrare al danneggiato mei confronti del soggetto obbligato per ottenere il rimborso tanto dei ratei già versati quanto del valore delle prestazioni future evitando in questo modo che per uno stesso danno, ci sia una duplicazione del credito in favore del danneggiato. Con la predetta decisione quindi la Corte Suprema ha deciso che dal risarcimento spettante al lavoratore per illecito del terzo, si detragga la rendita Inail percepita per l’inabilità permanente.

Quanto poi alla determinazione concreta del danno biologico differenziale, il calcolo varia a seconda della percentuale dell’invalidità biologica. Se da 1 a 15%, al danneggiato spetta per intero quanto previsto dalle tabelle di micro invalidità, previste dal Codice delle Assicurazioni.

Certamente è più complicato il calcolo del danno differenziale biologico quando la percentuale è dal 16% in su poiché in questi casi l’INAIL elargisce una rendita. Occorre infatti scorporare dalla rendita annuale INAIL la quota di danno biologico riconosciuta. A tal proposito era intervenuta la legge di bilancio 2019 modificando l’art.10, c.6, 7 e 8 del DPR n.1124/65 “Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo, complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell’indennità che, a qualsiasi titolo e indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”. Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti e per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell’art. 13, comma 2, lettere a) e b), del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l’indennità d’infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita complessivamente liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all’articolo 39 nonché da ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo“.

In altri termini la legge 145/2018 (legge di bilancio 2019), ai fini del calcolo e dell’importo dovuto a titolo di danno differenziale, chiarisce che va rapportato l’importo globale delle prestazioni versate dall’ente INAIL con quanto dovuto per il danno civilistico, tenendo esclusivamente conto dei pregiudizi oggetto di indennizzo da parte dell’ente gestore dell’assicurazione sociale. Pertanto nel determinare il quantum dovuto al lavoratore a titolo di danno differenziale vanno detratte quelle voci di danno per le quali esiste copertura assicurativa e per le quali il lavoratore abbia quindi già avuto ristoro. Ebbene appare evidente che oggi sono poche le voci di danno che non rientrano nella copertura assicurativa INAIL, tra queste rientrano certamente i danni alle cose, mentre per tutti i pregiudizi relativi alla persona, in particolare per “conseguenze delle menomazioni”, si intendano tutte le ulteriori conseguenze riguardanti la persona dell’assicurato.Tali modifiche comportavano quindi che il lavoratore danneggiato non potesse cumulare il dovuto a titolo di danno biologico in ambito civilistico con il di più ricevuto dall’Inail, nel caso di menomazione superiore al 15%, per danno da invalidità permanente, essendo entrambi compresi tra i pregiudizi oggetto di indennizzo. Tali modifiche sul tema del risarcimento del danno per i lavoratori a seguito di infortuni sul lavoro o in itinere sono state abrogate solo sei mesi dopo, riacquistando efficacia le disposizioni nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della medesima legge n. 145 del 2018.
È stata confermata invece la norma introdotta dalla lett. g) del comma 1126, Legge di Bilancio 2019 al comma 3 dell’art. 11 d.P.R. n. 1124/1965, per cui «[n]ella liquidazione dell’importo dovuto [dal datore di lavoro all’INAIL in sede di regresso] il giudice può procedere alla riduzione della somma tenendo conto della condotta precedente e successiva al verificarsi dell’evento lesivo e dell’adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro. Le modalità di esecuzione dell’obbligazione possono essere definite tenendo conto del rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile.

Di grande rilievo l’intervento della Cassazione di pochi mesi fa, con il quale si è nuovamente espressa per la determinazione dei criteri del calcolo del danno differenziale, in particolare per il riconoscimento in favore del lavoratore della inabilità temporanea non ricompresa nella tutela previdenziale, definendo che  “La diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione Inail ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’Istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l’indennizzo erogato dall’Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale. occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest’ultimo alla quota Inail rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall’importo cosi ricavato il valore capitale della sola quota della rendita Inail destinata a ristorare il danno biologico permanente” (Cass. civ. sez. Lav., 18.5.2020, ordinanza n. 9083).