A differenza delle altre sentenze pubblicate l’11 novembre 2019 nella Cancelleria dalla Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione (che si potrebbero definire come le “nuove sentenze di San Martino”), la sentenza n. 28993/2019 – pres. Cons. Travaglino rel. Cons. Valli – non ribadisce principi più che consolidati; al contrario, essa è il punto d’arrivo di un revirement della giurisprudenza in materia di perdita di chancenon patrimoniali. Non è un caso che il Collegio, già nelle primissime battute, avverta la necessità di mettere in evidenza il «duplice paralogismo» che ha caratterizzato lo studio della materia.
Storicamente, una prima analisi del concetto di perdita di chance è rintracciabile in una decisione della in Corte inglese del 1911 (Chaplin vs Hicks), in un caso relativo ad una giovane ragazza, selezionata tra dodici finaliste in un concorso di bellezza, che non ricevette mai l’avviso di celebrazione della selezione finale. In Italia, il primo intervento sul tema è della Sezione Lavoro della Corte di cassazione (sentenza n. 6506/1985). Il caso non era diverso da quello affrontato dalla Corte inglese: il partecipante ad un concorso pubblico, superati gli scritti, non fu messo in grado di partecipare alle prove successive.
Già in quelle prime decisioni si annidano i due elementi di quel paralogismocui fa riferimento il Collegio: da un lato, la chancenon patrimoniale ha come modello la chancepatrimoniale sulla quale sono iniziati gli studi, quella si sviluppa all’ombra di questa ma è da questa, in realtà, molto diversa; dall’altro, la chance, pur sempre intesa come perdita della possibilità di un risultato migliore, è erroneamente intesa come incertezza causale.
Quanto al primo aspetto, nella sentenza n. 28993/2019 è messa in luce la differenza tra chance patrimoniale e non patrimoniale. Nel primo caso, la chance patrimoniale «presenta le stimmate dell’interesse pretensivo» del diritto amministrativo (punto 5 della sentenza; espressione adoperata anche da Sez. III n. 5641/2018, tra le primissime decisioni difformi rispetto al passato), ossia il soggetto presenta una situazione di interesse positivo (ad esempio, il partecipante ad un concorso pubblico non perderà, a causa della cancellazione del concorso o comunicazione della prova finale, le conoscenze acquisite per partecipare alla gara). Diversamente nell’altra ipotesi. Il soggetto che si rivolge al medico non presenta alcunché di positivo, al contrario, si può affermare che preesiste una situazione negativa, patologica.
Oltre che su un piano morfologico, questa differenza, tra chance patrimoniale e non patrimoniale, è ancor più rilevante in sede di liquidazione del danno. Nel primo caso, infatti, il giudice determina il risarcimento prendendo a paramento quell’interesse, quella preesistenza positiva del soggetto; nel secondo caso, invece, non c’è un preesistente risultato positivo da adoperare come parametro, ciò che si deve risarcire (in via equitativa) è, appunto, la possibilità perduta di realizzarlo.
È questo il primo importante aspetto messo in evidenza dalla sentenza n. 28993/2019 (e prima dalla sentenza n. 5641/2018).
Il «secondo paralogismo» raggiunge il suo massimo negli anni 2006, anni in cui la disciplina della responsabilità civile è stravolta dalle novità in tema di causalità; in quegli anni, infatti, la causalità civile inizia ad affrancarsi da quella penale. Nella sentenza della Terza Sezione Civile n. 21619/2006 (Pres. Cons. Di Nanni rel. Cons. Travaglino), il Collegio riconduce la chance nella causalità che descrive come una «scala discendente»: al vertice la causalità penale, l’alto grado di probabilità logica (sez. U, sentenza Franzese del 2002) e l’oltre ogni ragionevole dubbio; nel mezzo la causalità civile, ossia la regola del “più probabile che non”, che presuppone un accertamento meno rigido di quello richiesto in sede penale; e, infine, la causalità da perdita di chance, mera possibilità che da una condotta consegua un risultato.
Più di ogni altra cosa, la sentenza n. 28993/2019 segna un mutamento di rotta sotto questo aspetto, distinguendo nettamente l’incertezza eventistica, che caratterizza e in cui si risolve il concetto di chance, dall’incertezza causale, in presenza della quale al soggetto danneggiato non sarà riconosciuto non soltanto il quantum di risarcimento domandato – eventualmente determinato in misura inferiore – ma alcun risarcimento, poiché se non vi è certezza del rapporto di derivazione causale dell’evento (chance) dalla condotta non sorge il diritto al risarcimento del danno, giacché manca uno degli elementi costitutivi di quello.
Ecco, allora, che la chance, sganciata dalla causalità nella quale era stata confinata, è pienamente colta nel suo essere evento di danno, che si lega alla condotta (omissiva o commissiva del professionista sanitario) «senza che i concetti di probabilità causale e di possibilità (e cioè di incertezza) del risultato realizzabile possano legittimamente sovrapporsi, elidersi o fondarsi insieme: la dimostrazione di una apprezzabile possibilità di giungere al risultato migliore sul piano dell’evento di danno non equivale, in altri termini, alla prova della probabilità che la condotta dell’agente abbia cagionato il danno da perdita di chance sul piano causale» (punto 11).
La chance non si presenterà totalmente distinta dal “risultato finale”, essendo pur sempre volta a tutelare il diritto alla salute e all’autodeterminazione del soggetto; efficacemente descritta come «anticipazione di tutela dello stesso bene giuridico, meritevole di ricevere una autonoma considerazione» (punto 12).
La sentenza in commento si chiude con alcuni esempi necessari per tirare le somme del discorso:
- a) la relazione del consulente tecnico d’ufficio accerta che una diversa condotta del medico avrebbe evitato la morte del paziente; non si pone un problema di perdita di chance, non essendovi alcuna incertezza circa l’evento;
- b) analogamente ove si accerti che il soggetto a causa della condotta imperita o negligente del medico ha la possibilità di vivere un anno in più o di vivere meglio; anche in questo caso, la perdita subita è certae non si porrà un problema di chance perdute(si sottolinea l’equivoco lessicale «In tal caso il sanitario sarà chiamato a rispondere dell’evento di danno costituito dalla perdita anticipata della vita e dalla sua peggior qualità, senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance – senza, cioè, che l’equivoco lessicale costituito dal sintagma “possibilità di un vita più lunga e di qualità migliore” incida sulla qualificazione dell’evento, caratterizzato non dalla “possibilità di un risultato migliore”, bensì dalla certezza (o rilevante probabilità) di aver vissuto meno a lungo, patendo maggiori sofferenze fisiche e spirituali»);
- c) diversamente, invece, ove il consulente tecnico d’ufficio non sia in grado di offrire certezza circa il verificarsi di quello specifico evento occorso o di uno diverso; solo ed esclusivamente in questo caso, non essendovi certezza sull’evento, sarà possibile risarcire il danno subito in termini di chance
Vi è un’ultima considerazione. Prima della sentenza n. 28993/2019, la confusione tra incertezza eventistica e incertezza causale faceva sì che il giudice, ove a fronte di un’incertezza causale (probabilmente, anche al fine di evitare che l’incertezza circa le causa della lesione potesse ricadere in danno del paziente danneggiato, potendo ciò apparire ingiusto), era propenso a liquidare ugualmente il risarcimento, seppur in termini più ridotti, sotto forma, appunto, di perdita di chance.Ossia la perdita di chanceveniva adoperata per sopperire alla mancata prova degli elementi costitutivi della fattispecie. Oggi, invece, questo non è più possibile.