In che modo le pregresse condizioni di salute della vittima (anche dette preesistenze) incidono nell’accertamento del danno biologico? Si pensi ad un soggetto affetto da una forma molto grave di osteoporosi il quale a causa di un urto, anche lieve, subisce la rottura di un arto; ovvero, si pensi ad un soggetto già privo di un arto a cui, a causa di un errato intervento medico-chirurgico, è amputato anche l’altro; si immagini, ancora, che a subire una simile amputazione sia un atleta paralimpico o un soggetto sedentario già da tempo costretto sulla sedia a rotelle: come si liquida il risarcimento del danno ad un soggetto che era già invalido?
Il problema è stato affrontato dalla Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 28986 del 2019 (Pres. Cons. Travaglino Rel. Cons. Rossetti), pubblicata, insieme alle altre in tema di responsabilità sanitaria, l’11 novembre 2019, la quale ha analizzato l’incidenza sul nesso di causalità – materiale e giuridica – delle pregresse condizioni di salute del soggetto danneggiato.
Nell’affrontare questo problema il Collegio riafferma, e così contribuisce a consolidare, alcuni dei principi cardine in tema di causalità e risarcimento del danno biologico: il danno alla salute scaturisce da una lesione alla salute, non coincide con essa ma ne è conseguenza, ossia rappresenta la perdita, la forzosa rinuncia da essa prodotta (in questi termini già le cd. sentenze di San Martino, Sez. U. n. 26972, 26973, 26974, 26975 del 2008); il risarcimento del danno presuppone l’accertamento di un doppio nesso di causalità distinguendosi tra causalità materiale, a monte, e causalità giuridica, a valle (tra le tante, Sez. III n. 15991 del 2011).
Il Collegio si sofferma in particolar modo su quest’ultimo aspetto in quanto le preesistenze pongono un problema di causalità; esse, infatti, altro non sono che una concausa naturale dell’evento o del danno pertanto soggetta alle regole in tema di causalità.
Il nesso di causalità materiale è un criterio oggettivo di imputazione delle responsabilità volto ad accertare il legame tra condotta/omissione ed evento di danno (ossia la lesione della salute); il suo accertamento segue la teoria della conditio sine qua non (artt. 40 e 41 cod. pen.) attenuata dalla regola della cd. causalità adeguata o regolarità causale: l’evento lesivo è causa della condotta (omissiva o commissiva) ove si accerti che esso non si sarebbe altrimenti verificato (teoria della conditio sine qua non) a condizione, però, che l’evento possa dirsi normale sviluppo della condotta secondo l’id quod plerumque accidit essendo prevedibile nel momento in cui la condotta è posta in essere (principio della cd. causalità adeguata o regolarità causale) così da escludere le conseguenze assolutamente inverosimili o atipiche nonché il fortuito.
Il nesso di causalità giuridica, invece, ha la funzione di delimitare l’area del danno risarcibile individuando, secondo la regola contenuta nell’art. 1223 cod. civ., le conseguenze pregiudizievoli causate in via immediata e diretta dall’evento di danno; «più si allunga la catena dei rimbalzi tra l’evento lesivo e le conseguenze dannose più si assottiglia il nesso di causalità» (così, Cons. Rossetti nell’ambito del convegno del 27 novembre 2019 tenutosi presso l’Aula Magna della Suprema Corte di Cassazione).
Il pregresso stato di salute del danneggiato può astrattamente incidere su entrambi i suddetti nessi di causalità.
La preesistenza potrebbe essere concausa di lesione avendo concorso insieme alla condotta/omissione dell’agente a produrre l’evento lesivo. Incidendo sul nesso di causalità materiale, la preesistenza sarà soggetta al principio di equivalenza causale di cui all’art. 41 cod. pen. (anche definito in molte sentenza principio dell’all-or-nothing): il concorso del fattore umano con una causa naturale rende quest’ultima giuridicamente irrilevante, per cui la lesione sarà interamente imputata al soggetto agente, non essendo possibile un frazionamento del nesso di causalità materiale e ciò, si badi, quand’anche il fatto dell’uomo abbia avuto un minor apporto causale. Riprendendo l’esempio fatto in sentenza dal Cons. Rossetti, si pensi al caso dell’emofiliaco cui viene inflitta una minuscola ferita che, tuttavia, ne causa la morte; l’evento di danno si considererà interamente causato dall’autore della ferita.
Le pregresse condizioni di salute del soggetto potrebbero non aver concorso a causare la lesione bensì la menomazione, ossia aver inciso sul nesso di causalità giuridica. Nell’ambito delle concause di menomazione, il Collegio distingue tra menomazioni concorrenti e coesistenti. Occorre accertare, infatti, se le pregresse condizioni di salute del soggetto abbiano o meno concorso a causare la menomazione e ciò sarà possibile alla luce di un giudizio contrafattuale secondo il metodo della cd. prognosi postuma. Sarà cioè necessario eliminare idealmente la preesistenza per verificare quali sarebbero state le conseguenze pregiudizievoli prodotte dalla lesione.
Ove si accerti che il soggetto già invalido non ha riportato danni maggiori di quelli che avrebbe riportato un soggetto sano, si parlerà di menomazione coesistente. La preesistenza non avrà avuto alcuna incidenza nella produzione del danno ed il risarcimento non subirà riduzione di alcuna sorta.
Se, invece, le conseguenze riportate sono maggiori o più gravi di quelle che avrebbe riportato un soggetto sano si parlerà di menomazione concorrente.
Nel caso di menomazione concorrente si pone il problema di stabilire in che modo procedere alla liquidazione del danno posto che non tutte le conseguenze pregiudizievoli sono causa diretta ed immediata dell’evento lesivo, per cui essere non potranno essere addossate all’autore della lesione.
Questo aspetto è affrontato dal Collegio tenendo conto delle modalità di calcolo del risarcimento in tema di danno alla salute. Infatti, il danno biologico è liquidato in modo che il quantum debeatur «cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi: ad invalidità doppie corrispondono perciò risarcimento più che doppi».
Affinchè questa modalità venga rispettata occorre che il medico-legale fornisca una doppia valutazione: una relativa al grado di invalidità complessivo del soggetto e l’altra relativa al grado di invalidità precedente. Posto questi due dati, non sarà sufficiente sottrarre il secondo dal primo ma sarà necessario convertire i due gradi d’invalidità nell’equivalente monetario e solo successivamente effettuare la sottrazione.
Esemplificando, se il medico legale ha accertato che il grado d’invalidità complessivamente riportato dal soggetto è pari al 70% e il grado d’invalidità precedente era pari al 60%, non si dovrà liquidare il risarcimento per un grado d’invalidità pari al 10% ma si dovrà procedere alla conversione in denaro delle due misure e successivamente procedere alla sottrazione.
Chiarissimo sul punto è l’esempio del Cons. Rossetti «il soggetto monocolo che abbia perso l’occhio sano in conseguenza della condotta illecita altrui, non potrà vedersi risarcire, sic et simpliciter, il valore monetario della percentuale di invalidità prevista per la perdita di un occhio, dovendosi viceversa procedere alla quantificazione del risarcimento sulla base delle capacità perdute, e dunque sulla base della perdita dell’intero senso della vista, e non di quella dell’organo materialmente leso».
In conclusione la sentenza non manca di richiamare l’attenzione del giudice sulle conseguenze di questa operazione che ha pur sempre riguardo alla vita di un soggetto. Allora, quando l’operazione conduca a risultati iniqui, per eccesso o per difetto, sarà potere-dovere del giudice fare uso dell’equità correttiva.