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Evoluzione giurisprudenziale sull’assegno divorzile

La giurisprudenza stabilisce che la separazione personale, a differenza della cessazione degli effetti civili del matrimonio, comporti la permanenza del vincolo coniugale e pertanto i redditi adeguati ai quali va rapportato l’assegno di mantenimento ex art. 156 c.c. in favore del coniuge, in assenza di addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, permanendo ancora il dovere di assistenza materiale tra i coniugi, restando sospesi solo gli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione.

L’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità in relazione all’assegno di mantenimento collegato al tenore di vita subisce un andamento altalenante all’indomani della pronuncia della sentenza della Cassazione Civile a Sezioni Unite n. 18287/2018 in tema di assegno divorzile. Tale pronuncia ha modificato i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile non più parametrato al tenore di vita di cui i coniugi hanno goduto durante la convivenza. La Cassazione, all’indomani di tale sentenza, ha dato vita ad una serie di sentenze sul tema di contenuto divergente a cui sono seguite, nella giurisprudenza di merito, una serie di pronunce di contenuto altrettanto altalenante.

Con la recentissima sentenza n. 1762/2021, la Corte di Appello di Roma rigetta il ricorso del marito che nel giudizio di separazione era stato condannato a corrispondere alla moglie un assegno di mantenimento piuttosto cospicuo, sul presupposto che la separazione dei coniugi comporti il permanere del vincolo coniugale e pertanto il riconoscimento dell’assegno di mantenimento deve essere parametrato al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Passando all’assegno divorzile, se con la separazione personale dei coniugi il vincolo matrimoniale resta in vita, rimanendo sospesi solo gli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione di cui all’art. 143 c.c., con il divorzio il vincolo matrimoniale cessa definitivamente e con esso vengono meno i diritti successori. Diversa, però, è anche la natura e la funzione dell’assegno divorzile che, secondo la giurisprudenza più recente che ha modificato quello che è stato l’orientamento prevalente per oltre 25 anni, non è più parametrato al tenore di vita. Infatti, benché l’art.5 comma 6 della legge sul divorzio n.898/1970 non faccia espresso riferimento al tenore di vita, l’assegno divorzile per 27 anni è stato corrisposto in funzione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Il fondamento di tale orientamento si rinviene nelle sentenze gemelle della Cassazione Civile a Sezioni Unite n.11490 e 11492 del 1990, secondo le quali, il parametro di riferimento a cui rapportare la adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi del richiedente doveva essere costantemente individuato nel tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso.

Il panorama giuridico in relazione all’assegno divorzile cambia con la sentenza della Cass. Civ. n.11504/2017 (Sentenza Grilli), a seguito della quale il matrimonio non viene più visto come una sistemazione economica a vita e cambiano anche i presupposti per ottenere il riconoscimento dell’assegno divorzile. La Cassazione abbandona il criterio del tenore di vita per sostituirlo con quello del raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente e precisa che: “se è accertato che il coniuge richiedente l’assegno di divorzio è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto”. Pertanto, secondo quanto stabilito nella suddetta sentenza, nel riconoscere il diritto dell’ex coniuge a percepire l’assegno divorzile, il giudice deve dar vita ad un giudizio bifasico: in una prima fase di accertamento dell’an debeatur deve accertare la sussistenza o meno dell’indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente l’assegno seguendo determinati parametri (il possesso di redditi di qualsiasi genere, il possesso di beni mobili o di beni immobili, la capacità e la possibilità concreta di avere un lavoro , in base all’età e alla salute, la stabile disponibilità di una casa di abitazione); nella fase successiva del quantum debeatur in base al principio di solidarietà economica il giudice deve tenere in considerazione gli elementi indicati dall’art. 5 comma 6 della Legge sul Divorzio (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune o di ciascuno, reddito di entrambi). La Cassazione stabilisce, con riferimento alla fase relativa all’accertamento dell’ an debeatur,  l’importante principio, ripreso poi dalla giurisprudenza successiva, secondo il quale il concetto di autosufficienza e indipendenza economica non dipende dalle sostanze dell’altro coniuge e dalle condizioni economiche che avevano i coniugi durante il matrimonio ma attiene esclusivamente alla persona dell’ex coniuge richiedente l’assegno come singolo individuo ovvero senza alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale. Soltanto poi nella fase successiva relativa al quantum debeatur è possibile procedere ad una valutazione comparativa delle situazioni economiche reddituali delle parti. Quanto all’onere della prova, la Cassazione è altrettanto chiara nello stabilire che esso spetta al coniuge che richiede il beneficio.

Tale pronuncia dunque riconosce all’assegno di divorzio natura assistenziale, la cui ratio ha un fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di solidarietà economica il cui adempimento è richiesto ad entrambi i coniugi quali persone singole a tutela delle persone economicamente più deboli. Da qui il via ad un contrasto giurisprudenziale che ha comportato il proliferare di ricorsi aventi ad oggetto l’assegno di divorzio al fine di ridurne l’ammontare o di azzerarlo.

Tale contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n.18287/2018. Attraverso tale pronuncia, la Cassazione pone l’accento sul principio fondamentale di auto-responsabilità ed autodeterminazione dei coniugi, sottolineando l’importanza dei ruoli all’interno del rapporto matrimoniale. Secondo la Cassazione, la valutazione compiuta con la sentenza n. 11504/2017 è sicuramente rilevante ma incompleta perché disancorata dalla relazione matrimoniale e dai principi di autodeterminazione e auto-responsabilità, principi che hanno indotto i coniugi a contrarre matrimonio. Sostiene la Cassazione che doveva darsi una lettura diversa dell’art. 5 comma 6 della Legge sul Divorzio al fine di valutare concretamente l’effettiva adeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarseli per ragioni obiettive. Tale valutazione deve essere effettuata prendendo in considerazione gli indicatori contenuti nella prima parte del suddetto articolo e deve essere diretta ad accertare se l’eventuale disparità di condizioni economiche e reddituali tra i coniugi non sia frutto di quel principio di autodeterminazione  e autoregolamentazione attraverso i quali i coniugi hanno scelto di comune accordo la distinzione dei ruoli all’interno della famiglia e soprattutto valutare se il sacrificio del coniuge nell’affermazione professionale dipenda da quel principio di autodeterminazione di scelte comuni all’interno della vita matrimoniale. Pertanto la Cassazione valorizza i sacrifici posti in essere dal coniuge economicamente più debole in considerazione anche della durata del matrimonio. L’assegno di divorzio quindi ha una funzione non solo assistenziale ma anche compensativa, in quanto tutela il coniuge economicamente più debole che ha in ogni caso contribuito alla conduzione della vita familiare, e perequativa, in relazione a quelle situazioni in cui vi è un dislivello reddituale dovuto alle scelte adottate di comune accordo dai coniugi durante il matrimonio.

Ultimo riferimento va fatto all’art. 5 comma 10 della Legge sul Divorzio secondo il quale l’ex coniuge che percepisce l’assegno di divorzio perde il beneficio nel momento in cui contrae nuove nozze. Secondo l’orientamento dominante in materia, l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, anche se di fatto, comporta automaticamente il venir meno del beneficio. Con l’ ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione sez. I n.28995/2020, la Cassazione si discosta nettamente dall’ordinamento prevalente, ritenendo che l’automatismo vada riferito solo al caso di nuove nozze e non ad una convivenza more uxorio e stabilisce che il principio di auto-responsabilità non può escludere l’assegno di divorzio a seguito di convivenza perché ciò sacrificherebbe i criteri di determinazione dell’assegno specificati chiaramente dalla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n.18287/2018. Pertanto la Sezione ritiene che possa permanere in tal caso l’assegno divorzile magari rimodulato nel quantum laddove la nuova convivenza abbia migliorato le condizioni economica della parte che percepiva l’assegno di divorzio. Della questione sono state investite le Sezioni Unite, si resta pertanto in attesa della loro pronuncia.