La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 19597 depositata in data 18 settembre 2020 ha definitivamente confermato l’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi di mora, dirimendo l’annoso contrasto giurisprudenziale.
Il reato di usura è disciplinato dall’art. 644 c.p., appartiene alla categoria dei delitti contro il patrimonio, e punisce chiunque, fuori dei casi previsti dall’art. 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o vantaggi usurari.
L’art. 644 c.p. distingue due fattispecie di usura, quella presunta o oggettiva, che ricorre quando si eccede la soglia- usura, e quella concreta o soggettiva che, invece, ricorre nel caso di abuso dello stato di difficoltà della vittima, quale strumento di lucro indebito attraverso la sproporzione delle prestazioni.
L’individuazione del limite, superato il quale l’interesse può dirsi usurario, avviene attraverso il meccanismo delineato dall’art. 2 della L. 7.3.1996, n. 108, al quale l’art. 644 comma 3 rinvia.
Secondo tale disposto, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, rileva trimestralmente il cosiddetto tasso effettivo globale medio (TEGM), comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse (come previsto dal quarto comma dell’art. 644 c.p., secondo il quale “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”) riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura.
I decreti ministeriali indicano il tasso soglia oltre il quale le banche, in un determinato trimestre (i trimestri sono: gennaio-marzo; aprile-giugno; luglio-settembre; ottobre-dicembre), non possono concordare tassi d’interesse superiori.
Dunque, ai sensi della normativa antiusura, la banca commette un illecito quando a fronte di un prestito concorda un tasso d’interesse superiore al limite legislativo determinato trimestralmente con Decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Usura c.d. “oggettiva”); ovvero, inferiore a questo limite legislativo ma che, in base ad una valutazione complessiva (tasso medio + circostanze concrete), risulti comunque “sproporzionato” e applicato in presenza di “condizioni di difficoltà economica o finanziaria” del debitore (Usura c.d. “soggettiva”).
Fatta tale doverosa premessa, le Sezioni Unite, affermano con la sentenza n. 19597 depositata in data 18 settembre 2020, che la disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare non solo la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria che sia dovuta in relazione al contratto concluso, in quanto gli interessi moratori sono comunque convenuti e costituiscono un possibile debito per il finanziato, e così “La disciplina antiusura intende sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto, quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma altresì degli interessi moratori, che sono comunque convenuti e costituiscono un possibile debito per il finanziato.
Con tale pronuncia le S.U., hanno definitivamente preso posizione sul tema della sottoposizione dei tassi di mora alla disciplina antiusura, che negli anni è stato al centro di un fervente dibattito dottrinale, stante anche l’esistente contrasto emerso a causa delle differenti tesi della giurisprudenza di legittimità, infatti sul punto si erano registrati indirizzi contrapposti in seno alla stessa Corte.
I due orientamenti vengono puntualmente analizzati nella pronuncia in commento dagli Ermellini, i quali evidenziano, tra l’altro, quanto sinteticamente riportato infra:
La prima tesi analizzata è la c.d. “tesi restrittiva”, ovvero della non applicabilità della disciplina antiusura agli interessi di mora, stante la diversa funzione degli interessi: gli interessi corrispettivi hanno funzione remunerativa concordata per il godimento diretto di una somma di denaro, quelli moratori, invece, hanno una funzione risarcitoria, rappresentando, ex art. 1224 cod. civ., il danno conseguente l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria;
altro punto cardine della tesi restrittiva, è il mancato rilievo degli interessi moratori nel tasso soglia dei d.m.: nelle voci computate dai decreti ministeriali al fine della rilevazione del tasso medio non sono inclusi gli interessi di mora, mentre i due dati – T.e.g. del singolo rapporto e T.e.g.m. determinante il tasso soglia – devono essere omogenei: onde nel T.e.g. del singolo rapporto gli interessi moratori non dovevano essere conteggiati.
La seconda tesi viene invece definita dalla Suprema Corte “tesi estensiva”, ovvero della applicabilità della disciplina antiusura agli interessi di mora, sul presupposto che entrambi gli interessi (corrispettivo e moratorio) costituiscano la remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha goduto, nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente;
i fautori della tesi estensiva oppongono altresì, la ratio della norma o interpretazione finalistica, in altri termini, il criterio oggettivo previsto dalla legge n. 108 del 1996 intende tutelare le vittime dell’usura e il superiore interesse pubblico all’ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche, fini che sarebbero vanificati ove si escludessero dall’ambito di applicazione gli interessi moratori; inoltre, in caso contrario, per il creditore potrebbe addirittura essere più conveniente l’inadempimento, con la possibilità, ad esempio, di fissare termini di adempimento brevissimi per indurre facilmente la mora e lucrare gli interessi;
altro punto cardine della tesi estensiva, in contrapposizione a quella restrittiva, si fonda sull’irrilevanza della circostanza che i decreti ministeriali di rilevazione non includano gli interessi moratori nella definizione del T.e.g.m., e quindi, del relativo tasso-soglia avendo la legge n. 108 del 1996 costruito il giudizio di usurarietà su di un unico tasso soglia per ciascun tipo di finanziamento e distinto solo tra i diversi modelli contrattuali, non anche tra le differenti specie di costo del credito, onde addirittura l’eventuale rilevazione di un T.e.g.m. comprensivo del tasso degli interessi moratori sarebbe contra legem.
La Corte riconosce che entrambe le tesi esposte riferiscono di una finalità di tutela del soggetto finanziato, e, riassunte le contrapposte tesi, hanno ritenuto che il concetto di interesse usurario e la relativa disciplina repressiva non possano considerarsi estranei all’interesse moratorio, affinchè il debitore abbia più compiuta tutela.
L’esigenza primaria seguita dal legislatore è quindi quella di “non lasciare il debitore alla mercè del finanziatore”, il quale, se è subordinato al rispetto del limite della soglia usuraria quando pattuisce i costi complessivi del credito, non può dirsi immune dal controllo quando, scaduta la rata o decorso il termine pattuito per la restituzione della somma, il denaro non venga restituito e siano applicati gli interessi di mora, alla cui misura l’ordinamento (cfr. art. 41 Cost.) e la disciplina ad hoc dettata dal legislatore ordinario non restano indifferenti.
Gli Ermellini precisano inoltre che nella normativa antiusura si possono rintracciare una pluralità di rationes legis, quali la tutela del fruitore del finanziamento, la repressione della criminalità economica, la direzione del mercato creditizio e la stabilità del sistema bancario. Dalla riforma del 1996 sono stati, quindi, riaffermati i principi di ordine pubblico concernenti la direzione del mercato del credito e la protezione degli utenti: sanzionare le pattuizioni inique estranee alla logica concorrenziale persegue, nel contempo, le finalità d’interesse pubblicistico, volto all’ordinato funzionamento del mercato finanziario ed alla protezione della controparte dell’impresa bancaria.
La severità del legislatore nel trattamento degli interessi usurari è palesata dalla disciplina ad essi riservata nell’art. 1815 c.c., comma 2.
Affermata l’assoggettabilità del tasso di mora alla disciplina antiusura, le Sezioni Unite passano poi a fornire la risposta ad una pluralità di questioni ad esso collegate, tra le quali a titolo semplificativo, l’applicabilità dell’art. 1815 comma 2 c.c. agli interessi moratori, la ripartizione dell’onere probatorio, giungendo all’enunciazione dei seguenti principi di diritto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1:
“La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso”.
“La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perchè “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto””.
“Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista”.
“Si applica l’art. 1815 c.c., comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224 c.c., comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti”.
“Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento”.
“Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dall’art. 33, comma 2, lett. f) e art. 36, comma 1 codice del consumo, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.”.
“L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto”.